Ritratto di un fantasma
Il mistero della terza foto di Robert Johnson
di Fabrizio Poggi
In un tranquillo pomeriggio del giugno 2005 Steven “Zeke” Schein liutaio e collezionista di chitarre impiegato presso la Matt Umanov Guitars di New York stava navigando sul sito di eBay la famosa “asta on line”. Era una cosa che Zeke faceva spesso specialmente quando veniva colto dall’irrefrenabile voglia di trovare qualche vecchia chitarra da acquistare a poco prezzo, strumenti ridotti in pessime condizioni che nelle sue mani ritornavano ad essere fantastiche opere d’arte. Quel giorno sembrava che sul celebre sito di compravendita non vi fosse nulla d’interessante. Stava quasi per spegnere il computer quando una strana inserzione comparve sullo schermo. Una scritta che descrivendo l’oggetto in vendita diceva pressappoco così: “Vendo vecchia foto di B.B. King con chitarra”. Il destino fece si che Zeke volesse saperne di più. Il liutaio cliccò sulla scritta e sullo schermo del suo computer apparve una vecchia immagine virata seppia raffigurante due giovanotti. Uno dei due uomini teneva tra le mani una vecchia chitarra che il liutaio riconobbe subito. Era uno di quegli strumenti molto in voga tra il 1920 e il 1940 tra i bluesmen che suonavano nel Delta. Il problema è che nessuno dei due uomini nella fotografia sembrava essere B.B. King. Anzi osservando più attentamente l’immagine, il giovane a sinistra nella foto, immortalato mentre imbracciava la chitarra, assomigliava sorprendentemente a Robert Johnson, sicuramente il più celebre bluesman mai apparso su questa terra, l’uomo che passò alla storia non solo per il suo genio musicale ma anche per le leggende che da sempre circondano la sua figura, non ultima quella che racconta di un suo scellerato patto con il diavolo al cross road, al crocicchio, in cambio di una superba maestria nel suonare il blues. Robert Johnson ha influenzato tutti quelli che sono venuti dopo di lui. Nessuno escluso. Agli inizi degli anni novanta, cinquant’anni dopo la sua morte, il disco che conteneva le sue ventinove canzoni, le uniche che riuscì ad incidere nella sua breve vita, divenne disco di platino raggiungendo un totale di vendite che ancora oggi è assolutamente impensabile per un bluesman. Strano ma vero. Strano anche perché sino agli anni sessanta di lui si sapeva veramente poco. Quasi nulla. La cultura popolare, e il blues non fa eccezione, da sempre sono attratti dalle storie misteriose che riguardano artisti e canzoni. E la breve vita di Johnson è colma di storie tragiche, affascinanti e misteriose. Io stesso, qualche anno fa mentre scrivevo il mio libro sull’armonica blues, ho trovato una strana e nuova storia su Robert Johnson. Nato l’8 maggio 1911 a Hazelhurst, Mississippi, da una relazione extra coniugale della madre, Julia Doods, Robert Johnson, ha cominciato la sua carriera non come cantante chitarrista ma bensì come armonicista. I suoi amici dell’epoca lo ricordano come un bravo “soffiatore” e gli sconsigliavano di esibirsi con la chitarra che, si dice, in quegli anni suonasse davvero male. Robert Johnson, stufo delle critiche degli amici, sparì per un po’ di tempo e quando ritornò, era l’eccezionale artista che oggi tutti noi conosciamo. C’è un interessante e curioso aneddoto raccontato da Johnny Shines che si è esibito spesso con Johnson: “In quel periodo stavamo suonando al John Hunt’s, un club di West Memphis in Arkansas. Siamo quasi a metà della nostra esibizione quando il locale prende improvvisamente fuoco. In pochi istanti l’intero club venne avvolto dalle fiamme e con lui le nostre chitarre. Io non sapevo che Robert sapesse suonare anche l’armonica: sta di fatto che mentre il giorno dopo stavamo camminando alla ricerca di un passaggio sulla Highway 61, Johnson tira fuori dalle tasche una vecchia armonica e comincia a suonare e a cantare, battendo fragorosamente le mani. In un attimo riuscì a bloccare l’intero traffico che in quel momento transitava su quella strada. Decine erano le auto che si fermavano incuriosite e dai finestrini piovevano tantissime monetine. Con questa improvvisata performance, riuscimmo a guadagnare il denaro con il quale il giorno dopo ci siamo comprati due chitarre nuove di zecca”. E sono stati proprio i racconti dei suoi contemporanei che riferivano appunto di un’abilità strumentale maturata quasi d’incanto, la seduzione quasi mistica che la sua musica ha esercitato sulle stelle del rock, l’oscurità dell’artista del quale per decenni non si sono viste immagini a farne un autentico mito. Johnson stesso contribuì a circondare di leggenda la propria persona ed il proprio sound; suggerendo nei propri componimenti una complicità demoniaca che si esprimeva nei testi delle sue canzoni colme di espliciti riferimenti peccaminosi e dominate da aspre e conflittuali tensioni esistenziali. Steve LaVere l’uomo che ha dedicato l’intera vita alla ricerca dei brani di Robert Johnson e che ha trovato, dopo mille peripezie le due celebri immagini del misterioso uomo di blues, ha lungamente investigato per restituire all’artista una dimensione umana più reale, portando alla luce i dati essenziali dei suoi ventisette anni di vita. Sono allora emersi un’infanzia sradicata, trascorsa in parte nei sobborghi di Memphis, e un’adolescenza vissuta a Robinsonville piccolo villaggio del Delta abitato prevalentemente da raccoglitori di cotone. Lì era di casa il blues che divenne presto il linguaggio dell’aspirante musicista. Grazie alla frequentazione di Charlie Patton, Willie Brown e del grandissimo Son House, Johnson sviluppò un amore viscerale per quella musica irresistibile. Il dolore e la morte sono stati sempre presenti nella vita del bluesman: la prima moglie, appena sedicenne morì dando alla luce un bambino che sopravvisse solo pochi minuti. Un evento questo, che cambiò profondamente il carattere e la personalità del bluesman che divenne più cupo e ombroso. La tragedia fu seguita dall’immersione totale nella musica e dal suo ritorno nella natia Hazelhurst, dove Johnson assiduamente istruito da Ike Zimmerman, perfezionò tecnica e stile, per tornare poi nel Delta a sbalordire ed inquietare i suoi primi maestri. Helena diventò ben presto la base da cui partire per conquistarsi una solida popolarità locale. Ma la voglia di spostarsi per andare a portare ovunque la sua musica assalì ben presto il giovane bluesman, conferendo una mobilità frenetica alla sua esistenza e spingendolo sino a St. Louis, Chicago, Detroit e New York. Nell’alone di leggenda che circonda Johnson, c’è posto anche per altri mitici uomini di blues. Uomini leggendari come l’armonicista Sonny Boy Williamson II. Sembra infatti che quest’ultimo fosse a suonare con lui (e con Honeyboy Edwards) la notte che Robert Johnson venne avvelenato a morte dall’organizzatore di una festa danzante a Three Forks, Mississippi al quale non andava a genio che il giovane bluesman corteggiasse da tempo la moglie. Narra la leggenda che durante una pausa del loro spettacolo qualcuno passò una bottiglia di liquore a Robert e Sonny Boy, più anziano e sospettoso, gli disse dandogli un colpo sul braccio e facendogli cadere la bottiglia: “Ricordati ragazzo di non bere mai da una bottiglia che ti viene passata, chissà che cosa potrebbe contenere…”. Così Sonny Boy salvò la vita a Robert Johnson ma solo per poco perché mentre l’armonicista non guardava, qualcuno diede di nuovo da bere al leggendario bluesman che morirà di lì a poco per una polmonite, in quegli anni incurabile, scatenata da un probabile avvelenamento da stricnina il 16 agosto 1938 a Greenwood, Mississippi. Ma torniamo a Zeke, il liutaio newyorkese che sempre più sbalordito è ancora davanti al computer. Ormai ha osservato quella vecchia foto da tanto tempo, si è soffermato sulle lunghe dita del suonatore di chitarra e sul suo strano sguardo, e in lui si sta facendo strada il pensiero di essere in presenza di qualcosa di misterioso e mitico, ovvero la “famosa” terza foto di Robert Johnson. Sinora solo due foto di Johnson sono state rivelate a noi mortali. La prima venne pubblicata nel 1986 e ritrae Johnson in maniche di camicia e bretelle mentre con le sue lunghe dita imbraccia una vecchia chitarra. In bocca ha una sigaretta e il suo sguardo malinconico e spaventato rivela che uno dei suoi occhi non riesce a spalancarsi del tutto, offeso per sempre da una probabile cataratta mal curata. La seconda che vede Johnson tutto elegante e in posa con una bella chitarra divenne invece la copertina del famoso box set che nel 1990 vendette più di un milione di copie. Secondo alcuni studiosi sembra che questa seconda immagine di Johnson sia stata scattata a Memphis nello studio dei fratelli Hooks. Io però so qualcosa in più su questo ritratto e a raccontarmela è stato l’uomo al quale la sorellastra di Robert Johnson ha donato le due foto in questione: Steve LaVere. Steve LaVere oggi è proprietario di un edificio nel centro di Greenwood, Mississippi, non troppo distante dal luogo dove è sepolto il leggendario bluesman: il piano terra è un locale dove si fa musica ed il piano di sopra è un museo dove sono custoditi cimeli che farebbero la felicità di ogni appassionato di blues. Ho conosciuto Steve nel 2005 quando ho donato al museo una copia del mio libro sull’armonica blues e quando l’anno seguente ha saputo che ero in Mississippi per concerti ha voluto assolutamente che andassi a suonare nel suo locale. In quell’occasione Steve mi rivelò che in verità esiste anche una terza foto di Robert Johnson. Si trova a Houston, Texas, ma l’attuale proprietario non vuole per qualche “strano motivo” renderla nota. E pensare che tutto è partito da quella foto. Robert Johnson era andato a far visita alla sorella per salutare il nipote che partiva per il servizio militare. Per festeggiare l’evento zio e nipote, vestiti di tutto punto, andarono da un fotografo locale per farsi ritrarre insieme. Mentre erano lì la sorella propose a Robert di approfittare dell’occasione e di farsi fare una foto “professionale” con la chitarra. Così è nata una delle immagini più famose nel mondo del blues! E pare che Johnson in quella foto indossasse un vestito prestatogli dal nipote. Il “misterioso” proprietario della fantomatica terza foto altri non è se non Robert “Mack” McCormick celebre ricercatore che durante gli anni settanta per conto dello Smithsonian Institute raccolse parecchio materiale. Fu lui il primo a rintracciare le due sorellastre di Robert Johnson che gli regalarono anche una foto del fratello. Putroppo per Mack un altro ricercatore era sulle tracce dei dischi e delle foto di Robert Johnson. Un uomo intraprendente con un fiuto eccezionale e un grande senso degli affari. Un uomo che per questo ed altro si è fatto anche qualche nemico: Steve LaVere che nel 1973 riesce a rintracciare nel Maryland Carrie Thompson una delle due sorellastre di Johnson. Dopo la precedente visita di McCormick, Carrie, piuttosto sorpresa di tutto questo interesse intorno al fratello che in vita aveva raccolto ben poche soddisfazioni, si mise a rovistare per la casa e trovò quasi nascoste da qualche parte altre due foto del fratello. Il ritratto in “maniche di camicie” e quello in studio a Memphis. Unica erede del grande bluesman la Thompson cedette le foto e i diritti per l’utilizzo del materiale riguardante Johnson, registrazioni comprese, a LaVere chiedendo in cambio il cinquanta per cento di tutti i guadagni che si sarebbero prodotti con la pubblicazione delle immagini e dei dischi del fratello. Quando McCormick venne a sapere dell’accaduto, si senti comprensibilmente defraudato e si arrabbiò tantissimo tanto che da allora non vuole più saperne di Robert Johnson. Ecco lo “strano motivo” di cui mi parlava LaVere. Pare che Mack si sia rinchiuso in se stesso e abbia detto che finché avrà vita nessuno vedrà mai la terza foto di Robert Johnson. Ma la foto nelle mani di McCormick non era la stessa che Zeke il liutaio newyorkese stava fissando da ore sul suo computer. Ormai aveva deciso che doveva essere sua. La foto che giace in qualche cassetto di Houston ritrae, secondo Peter Guralnick una dei pochi ad averla vista, Johnson in compagnia di un giovane in divisa militare, mentre in questa “nuova” foto l’altra persona è vestita come poteva essere vestito un bluesman che girava gli States saltando da un treno merci all’altro e dal cassone di un camion ad un altro. E quella persona ritratta accanto a Johnson era senza ombra di dubbio Johnny Shines, un musicista che ha suonato per parecchio tempo con Robert Johnson. A questo punto Zeke non aveva dubbi. La foto ritraeva Robert Johnson e Johnny Shines. Dopo una lunga e difficile trattativa il liutaio riesce ad acquistare l’immagine per 2200 dollari. Ora la foto era nelle sue mani. Ma questo a Zeke non bastava. Adesso voleva saperne di più sulla sua scoperta. Putroppo il retro della foto non riportava nessuna scritta che potesse essere utile allo scopo e colui che gliel’ aveva venduta ricordava vagamente di aver comprato quella foto ad Atlanta in Georgia. Troppo poco. Certo la collocazione temporale c’era tutta. Zeke era sicuro che la chitarra della foto, una chitarra che stranamente montava una corda sola, fosse una Harmony della metà degli anni trenta e che la figura di Shines corrispondesse perfettamente ad altre foto di quegli anni raffiguranti quest’ultimo. Ma questo non era sufficiente. Zeke era anche riuscito a sapere che in un’intervista rilasciata poco prima della sua morte Johnny Shines ricordava di essere stato fotografato insieme a Johnson in Arkansas. Era il 1937 e la fotografa si chiamava Johnnie Mae Crowder. La foto fu persino pubblicata su un giornale locale. La Crowder morì nel 1940 e Zeke non riuscì a trovare né suoi parenti né giornali che avessero all’interno quella foto. Quando sembrava essersi infilato in un vicolo cieco a Zeke venne offerta la possibilità di mostrare la foto a due persone che avevano conosciuto bene Robert Johnson: David “Honeyboy” Edwards, uno che aveva suonato spesso con Johnson e che era presente la notte della sua morte e Robert Lockwood Jr, allievo di Johnson nel periodo in cui sua madre era stata l’amante del mitico bluesman. L’occasione era davvero unica. La foto venne mostrata ai due novantenni bluesmen senza dar loro nessuna indicazione, chiedendo solo se avessero saputo riconoscere i due musicisti ritratti. Nessuno di loro riconobbe le due figure. Zeke nonostante l’insuccesso dell’incontro non si perse d’animo e qualche tempo dopo si recò in una piccola cittadina del Mississippi, Crystal Spring a trovare Claud Johnson, protagonista di una lunga e tortuosa vicenda giudiziaria, durata dieci anni, che per sua fortuna nell’ottobre del 1998 era arrivata al suo capitolo finale. La suprema corte del Mississippi aveva infatti stabilito con una sentenza inappellabile che l’ormai anziano trasportatore di ghiaia di nome Claud Johnson era figlio naturale di Robert Johnson ed erede quindi di una parte della fortuna che le opere del padre avevano fruttato a Steve LaVere, il quale, suo malgrado, dovette cedere metà di tutti i proventi passati e futuri a Claud. In un primo momento si pensò che la corte si fosse basata sull’esame del DNA per stabilire con certezza la paternità dell’ormai pensionato camionista. Niente di tutto questo. A far pendere la bilancia della giustizia dalla sua parte fu la testimonianza di Eula Mae Williams, un’anziana donna amica d’infanzia della madre di Claud, una ragazza chiamata Virgie Jane Smith Cain. L’anziana signora affermò davanti alla corte e sotto giuramento di aver visto con i propri occhi la sua amica Virgie Jane fare l’amore con Robert Johnson in un boschetto appena fuori dal paese. Era la primavera del 1931 e dopo nove mesi esatti nacque Claud. La Williams si dichiarava inoltre sicura che Virgie Jane non fosse stata con nessun altro uomo prima della nascita di Claud. Se a noi questa testimonianza può destare qualche perplessità per i tribunali del Mississippi il tutto fu giudicato più che credibile. Intervistato nel giugno 2000 dal New York Times che diede grande risalto al fatto che si fosse trovato il figlio naturale di Robert Johnson, Claud raccontò di aver visto una sola volta suo padre: “Lo intravidi attraverso la porta d’ingresso che era socchiusa. Ricordo che l’uomo disse a mio nonno di essere venuto a vedere suo figlio. Il nonno si rifiutò di farlo entrare, dicendogli che non avrebbe mai permesso che suo nipote venisse in contatto con un uomo che suonava la musica del diavolo. E che forse aveva addirittura fatto un patto con lui. Mio padre se ne andò e non lo rividi mai più. Ma il suo volto resterà per sempre scolpito nella mia memoria”. Zeke, che aveva a suo tempo letto l’articolo, arrivò a Crystal Spring pieno di speranza. Forse quella sarebbe stata la volta buona. Il settantenne Claud lo accolse con il calore tipico degli abitanti del sud. Zeke tirò fuori da una busta la foto e la mostro a Claud. Non passarono molti secondi e il liutaio vide gli occhi del vecchio camionista cominciavano a riempirsi di lacrime. “E’ proprio lui” esclamò Claud. “E’ proprio come l’avevo visto attraverso la porta”. Zeke tornò a New York felice, anche se con il cuore triste perché sapeva che prima o poi avrebbe dovuto cedere la foto agli eredi di Robert Johnson. Di diritto, infatti, nell’estate 2007 la foto divenne di proprietà di Claud Johnson e dei suoi due figli Michael e Steve. Per l’autentificazione della foto da parte di un notaio venne persino coinvolta Lois Gibson famosissima esperta in ricostruzione di volti dell’F.B.I. Una persona che difficilmente sbaglia. E la Gibson disse che quello nella foto era probabilmente Robert Johnson. E’ vero, Robert Johnson in questa foto sembra più giovane e allora forse questa non è la foto del 1937 di cui Johnny Shines parlava. E il mistero allora continua perché nessuno per ora è riuscito ad affermare con assoluta certezza se questa sia o meno una foto del più leggendario dei bluesman. Qualche anno fa ho conosciuto in Mississippi Claud Johnson. Ho parlato un po’ con lui e mi è sembrato un uomo franco e sincero. Io gli credo quando dice che in quella foto c’è suo padre. Comunque sia, alla fine di questo articolo a me è venuta un’irrefrenabile voglia di andarmi ad ascoltare l’inquietante e misterioso sound di Robert Johnson. E a voi?
Robert Johnson la prima foto
Robert Johnson la seconda foto
Robert Johnson la terza foto