Pete Seeger e la Smithsonian Folkways Recordings (2009)
La Smithsonian Folkways Recordings è un’etichetta discografica senza fini di lucro dipendente dall’istituzione omonima. E per parlare di questi interessantissimi documenti sonori non si può non partire da colui che è considerato il padre della musica popolare americana: Pete Seeger, un artista che più di ogni altro ha inciso per la Folkways e che negli ultimi anni, grazie alle “Seeger Sessions” di Bruce Springsteen, sembra essere tornato alla ribalta internazionale. Pete Seeger stesso è il primo ad esserne piacevolmente stupito, tanto che in una recente intervista ha dichiarato: “…la vita è buffa. Ho 89 anni appena compiuti (il 3 marzo 2008 n.d.r.), ho sempre cantato canzoni di protesta, ho marciato per la pace con Martin Luther King, sono stato perseguitato per le mie idee e ora, alla mia veneranda età, sono diventato famosissimo come non mai. Stanno persino girando un film su di me che si intitola: “The power of songs”, il potere delle canzoni…Tutta questa popolarità è assolutamente inaspettata e devo sicuramente ringraziare Springsteen per l’ottimo lavoro di recupero delle mie canzoni…”. E “The power of songs – il potere delle canzoni” è sicuramente il titolo più appropriato per la storia di Pete Seeger, considerato con Woody Guthrie il genitore più accreditato della musica popolare americana contemporanea. E’ stato Pete Seeger a fondare i gloriosi Weavers; ed è sempre lui che ha fatto sognare milioni di persone sulle note di “We shall overcome” e di mille altre canzoni popolari. E’ stato davvero un maestro per Bob Dylan, Joan Baez e come scrivevamo poc’anzi di Bruce Springsteen al quale si deve un’efficace rilettura dei classici di Seeger sfociati in due cd, un dvd e un tour mondiale di enorme successo. Oggi con una raccolta edita dalla Smithsonian Folkways dall’emblematico titolo “Can’t start a fire without a spark: Seeger to Springsteen” il buon vecchio Pete risponde al discepolo Bruce che “non si può accendere un fuoco senza una scintilla”, riproponendo la versione originale degli stessi brani incisi da Springsteen in una versione rigorosa ed emozionante, basata unicamente sul suo banjo e sulla sua voce. Di Springsteen Seeger ha detto: “Bruce è uno di noi, uno di quelli che dà potere alle canzoni. E’ un grande, uno dei pochi che riesce a portare il nostro messaggio a milioni di persone. Il nostro compito è quello di far cantare la gente, tornare al senso di comunità e solidarietà…” E Seeger parlando della sua lunga carriera e del suo rapporto con questo “nuovo” successo delle sue canzoni grazie alle reinterpretazioni di Springsteen, ha detto più volte: “… Non disprezzo il successo. Con gli Almanac Singers prima, e con i Weavers più tardi, cantavamo brani impegnati che volavano in testa alle classifiche. Ma la mia indole mi ha sempre portato da un’altra parte e cioè a lottare per una società migliore: ho suonato per i minatori in sciopero, ho preso i treni merci al volo con Woody Guthrie e la mia vita è stata un’autentica avventura…” Ad un giornalista che gli chiedeva come si diventa eroi della canzone popolare Seeger rispondeva qualche tempo fa: “Ah, non è merito mio…Tutto è cominciato con John e Alan Lomax che hanno raccolto in un libro i canti dimenticati dei cowboys e dei braccianti; in seguito Woody io e tanti altri, proprio grazie a quelle canzoni, abbiamo cominciato a prendere coscienza dei problemi dell’ “America reale”, problemi che poi abbiamo cantato dagli anni Trenta in poi, dando vita, inconsapevolmente, a quello che fu chiamato il folk revival…e il resto è storia… Io e Woody eravamo molto legati , dove c’era uno c’era l’altro, come quando abbiamo marciato accanto a Martin Luther King, l’unico uomo che abbia unito tanta gente diversa sotto la bandiera della non violenza. E nella famosa marcia verso Montgomery in Alabama abbiamo cantato insieme per ore la nostra speranza in un’America migliore…”. Ecco come Pete Seeger ricorda Woody Guthrie: “Woody ha sempre lottato per i deboli e ha cantato la povertà e le tempeste di polvere che nel 1935 hanno mandato in malora tanti agricoltori nel Sud degli States; con profondità, sfidando spesso, con le sue canzoni, la disgrazia e la morte. Nel 1940 Woody scrisse “This land is your land” che nessuno volle trasmettere né alla radio né altrove; vendette però un migliaio di copie ed oggi quella canzone è considerata universalmente come il “vero” inno nazionale americano…” A chi gli chiedeva che cosa è per lui la musica folk americana Seeger ha risposto spesso: “…è un mélange di culture; gli schiavi hanno portato i ritmi blues dall’Africa poi cantati da Leadbelly e Son House, altre melodie arrivavano dall’Europa; le chitarre poi, sono arrivate in massa negli States, solo dopo il 1844, quando gli Usa sconfiggendo il Messico conquistarono la California… Alla domanda se avesse ancora senso, oggi, la canzone “di denuncia” Seeger ha spesso replicato: “E’ vero, oggi la vita è cambiata, molti lavoratori stanno meglio, ma ci sono comunque ancora tanti problemi come l’inquinamento, il nucleare e il denaro che compra tutto e stravolge le regole naturali, quindi c’è ancora spazio, purtroppo, per la canzone “di denuncia” sociale …”.
E Seeger è stato davvero un grande artista. E’ riuscito con le famose e leggendarie registrazioni per la Folkways a riportare la musica popolare dalla parte dei diseredati, dei dimenticati, di quelli che non riescono a correre dietro il dio denaro, di coloro che sanno ancora commuoversi per il destino degli altri. Si è rivolto soprattutto a quegli inguaribili sognatori che immaginavano un futuro collettivo e non individuale; all’ “altra America”, a quell’America cantata spesso da Woody Guthrie che in “This land is your land” scriveva: “…Questa terra è la mia terra, questa terra è la tua terra, questa terra è stata creata per me e per te…”. E Seeger era al fianco di Guthrie, Cisco Houston e a pochi altri quando attraverso le loro canzoni tenevano vivo quel sogno di fratellanza e solidarietà, lontano mille miglia dall’egoismo e dalla separazione che albergava nel cuore dell’America più conservatrice. Seeger, sotto questo punto di vista, è stato con Guthrie uno dei primi “eroi romantici” della canzone popolare statunitense. Seeger ha saputo davvero parlare al cuore degli americani “di buona speranza”, e in special modo a quella miriade di giovani americani che, storditi dalle guerre in Corea e in Vietnam, cercavano nuove risposte. Seeger riuscì attraverso le sue canzoni e le sue storie a far capire loro che l’America stava andando in una direzione sbagliata; e che l’importante non era avere tanti soldi in tasca e raggiungere una posizione “invidiabile” nella vita; ma piuttosto lottare per le proprie idee: “… non importa quante volte siamo stati battuti e siamo stati sconfitti ma quante volte siamo riusciti a rialzarci e a combattere di nuovo; e non importa quanto poco la vita ci abbia dato se abbiamo la ricchezza della musica che può veramente, a volte, guarirci l’anima…” E davvero la voce di Seeger è stata la colonna sonora dei sogni e delle speranze di tanti giovani americani che negli anni Sessanta speravano in un mondo migliore. E’ stato Pete Seeger, più di ogni altro, a spiegare attraverso le sue canzoni a quei ragazzi che il sogno americano, seppur lacero e consunto, era ancora lì, davanti ai loro occhi, che un altro mondo forse era possibile. Tornando al cd “Can’t start a fire without a spark: Seeger to Springsteen”, come si evince dal titolo, si tratta di una doverosa e sentita risposta alle “Seeger sessions” di Springsteen, che gli aveva, appunto, reso omaggio rivisitandone tredici canzoni negli splendidi album “We shall overcome” e “Live in Dublin”. Con questa compilation Pete Seeger ringrazia contraccambiando il dono e ripropone gli stessi brani cantati dal rocker di Ashbury Park nella propria versione originaria, la sua.
E quasi ad attestare quanto la reinterpretazione di Springsteen li abbia spesso arricchiti ed esaltati senza snaturarli, Seeger ne dà, al contrario, una versione rigorosa ed essenziale. Dallo scambio di cortesie emerge una domanda: è più bella la nuda esecuzione di Seeger accompagnato da chitarra e banjo, o quella più generosa di colori musicali del suo affezionato alunno?
Il quesito non avrà mai risposta e forse nemmeno piacerebbe ai due artisti, data la stima e la riconoscenza reciproca. I due con i loro relativi lavori discografici, non sono assolutamente in competizione fra loro, non si contrappongono affatto, anzi si completano. Il rigoroso bianco e nero delle versioni di Seeger ben si presta a stare accanto alla policromia sonora di Springsteen e della sua band. Ciascuna delle loro opere esibisce meriti e seduzioni diverse. I brani sono tratti dai numerosi dischi che Seeger ha inciso per la Folkways di Moses Ash negli anni Sessanta. Certo, pur senza nulla togliere all’encomiabile lavoro di Springsteen, gli “originali” cantati da Seeger hanno un fascino diverso: il fascino delle origini, delle radici, il fascino della storia. Le versioni di Pete catturano subito l’anima dell’ascoltatore a partire dall’iniziale “Old Dan Tucker” nella quale il veloce fraseggio strumentale di Seeger ha un portamento che ha sicuramente influenzato lo stesso Springsteen, alla successiva “Jesse James” brano di grandissima presa. La frizzante versione seegeriana di questo classico della musica popolare americana, poggia saldamente sopra ad un ricamo di banjo scoppiettante ed esplosivo. Seeger ci ricorda ancora una volta che la grande canzone americana, quella capace di volare oltre le bassezze consumistiche e raccontare piccole ma significative storie, sa proporre un melting pot culturale straordinario e pieno di fascino.
In questo contesto vanno sicuramente assimilate le splendide incisioni di due tra i più antichi spirituals afroamericani “Oh Mary don’t you weep” e “(Keep your) Eyes on the prize)” che nella versione rallentata e da brividi di Seeger assumono, se possibile ed ancora più, il loro valore di canzoni di lotta trasmettendo all’ascoltatore, la grande forza intrinseca che il canto religioso dei neri d’America sembra contenere nel suo significato più intimo. Altri brani di enorme suggestione, sono la frizzante versione del classico irish “Erie Canal”, contrassegnato da un banjo affilato e tagliente che trafigge il cuore degli appassionati; la sempreverde ed emozionante “John Henry” e lo spiritual da pelle d’oca “Jacob’s ladder”. Ma Seeger non si stanca di regalarci emozioni quando ci immerge nella bellezza bucolica di “Shenandoah” o nella trascinante esecuzione di quella che è forse la sua canzone più famosa “We shall overcome”, qui in versione “live”. Il celebre inno pacifista è una piccola sinfonia in punta d’animo e ben si amalgama con un’altra “torch song” di Seeger: “If I had a hammer”. Ed è sempre commovente ascoltare come Seeger riesca nel compito per eccellenza che ogni cantante tradizionale dovrebbe avere tra i suoi obbiettivi primari ovvero quello di riuscire nelle proprie esibizioni ad unire il pubblico in un unico grande coro. Nel disco si gustano anche la contagiosa ironia di “Froggie went a-courtin’ ”, la vivacità di “Buffalo gals” e la rapinosa dolcezza di “This little light of mine”, meraviglioso spiritual in bilico tra canto collettivo e un’epicità che tocca le corde più profonde dell’animo umano e chiude in maniera splendida la raccolta.
Un discorso a parte, meritano i favolosi libretti che corredano questo e tutti gli altri dischi della Smithsonian Folkways. I loro corposi booklet, corredati da splendide foto, sono autentiche miniere d’oro per chi voglia approfondire la propria conoscenza dei brani contenuti, delle storie che li hanno generati e degli straordinari interpreti che li hanno registrati. L’Egea Distribution ha naturalmente importato anche tutti gli altri album di Seeger da cui sono tratti i brani contenuti in “Can’t start a fire without a spark: Seeger to Springsteen” a cominciare dalla raccolta “If I had a hammer” che raccoglie 24 canzoni selezionate dalle centinaia di registrazioni che come abbiamo già scritto Seeger incise per la Folkways tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. A questa ricca e davvero completa antologia si aggiungono due nuove canzoni registrate appositamente per questo progetto. In questa compilation Pete Seeger, oltre a cantare e a suonare chitarra e banjo, appare anche in alcune canzoni con gli Almanac Singers e con sua nipote Tao Rodriguez, che lo ha spesso affiancato nelle esibizioni più recenti. E Seeger, classe 1919 non ha mai smesso di cantare per la sua gente e ancora oggi fa decine di concerti. Per chi volesse davvero saperne di più su questo artista che ha davvero fatto parte della storia della musica moderna, l’Egea Distribution ha importato anche i cinque volumi della serie “American Favorite Ballads”, che sono un autentico tesoro per gli appassionati di musica popolare americana. Il progetto, che coinvolse Seeger e la Folkways per un lungo periodo, prevedeva la scelta di inserire in questi dischi famosissime canzoni che erano state parte integrante della vita quotidiana di alcune generazioni. In “American Favorite Ballads Vol. 1”, troviamo brani davvero celebri come: “This land is your land”, “America the Beautiful” e “Shenandoah”.
Quasi superfluo aggiungere che ciascuno di questi volumi è davvero essenziale per ogni appassionato di musica folk d’oltreoceano. A completare il tutto, come ho già scritto, c’è per ognuno dei volumi della serie “American favorite ballads” un libretto di 32 pagine che ne descrive minuziosamente il contenuto, fornendo brano per brano tutte le informazioni possibili. I testi completi di tutte le canzoni cantate da Seeger, invece si possono leggere e stampare gratuitamente sul sito www.folkways.si.edu che vi invito a visitare. “American Favorite Ballads Vol. 2” conferma il grande talento di Seeger che ci propone altri classici della tradizione popolare americana. Attraverso la musica “rurale” contenuta in questo disco, si riesce davvero a percepire la cultura di un popolo in un travagliato periodo storico, estrapolando dalla cultura popolare soprattutto i significati sociali contenuti nelle canzoni. E di interessanti canzoni nel cd ce ne sono davvero tante: “Alabama bound”, “Black is the color of my true love hair”, “Young man who wouldn’t hoe Corn”, “Poor Boy”, “The Fox”, “The keeper and the doe”, “Go tell Aunt Rhodie” “I had a rooster” (barnyard song)”, “Camp town races”; tutti brani interpretati al meglio dalla voce chiara ed intensa di Seeger. “American Favorite Ballads Vol. 3”, a sua volta, descrive l’opera del grande musicista statunitense nel momento più alto della sua popolarità. Sono 27 brani che esprimono il talento ed il genio di Pete e la forza culturale di un’epopea davvero irripetibile. Tantissimi i brani degni di nota tra i quali vanno assolutamente citati: “Gipsy Davy”, “New river train”, “St. Louis blues”, “The girl I left behind”, “The Titanic”, “Lady of Carlysle”, “Golden Vanity”, “When I was single” e “Old Blue”. La rigorosa eleganza di queste ballads supera i confini del puro prodotto legato alla tradizione musicale: in questi brani tratti dall’“altra America” possiamo davvero quasi “vedere” la figura di Seeger, uomo umile e semplice, assumere il significato di “icona”, di testimone autorevole di un periodo storico, non solo da non dimenticare, ma assolutamente da riconsiderare. “American Favorite Ballads Vol. 4” presenta, come tutti gli altri volumi che l’hanno preceduto, una veste grafica del tutto nuova in cui spicca un’introduzione del “Boss” Bruce Springsteen: “Sono cresciuto con il rock e non conoscevo molto della musica di Seeger. Così, un giorno decisi di entrare in un negozio di dischi e comprare alcuni suoi cd. Dopo alcuni anni di attento ascolto mi sono accorto della ricchezza della sua musica; una forza che da quel giorno porto sempre con me…”. Poche parole ma di grande impatto. In questo quarto volume Seeger continua il suo viaggio nel cuore del folk americano recuperando e diffondendo canzoni altrimenti dimenticate. “American Favorite Ballads Vol. 5” è il quinto ed ultimo capitolo della leggendaria serie ovvero la conclusione di questa “mitica” collana che raccoglie il meglio della produzione di Pete Seeger a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta. Sono quegli gli anni in cui comincia anche la sua collaborazione con la rivista “Sing Out!”. Dal 1954 Seeger tiene sul magazine statunitense una rubrica intitolata simbolicamente “Appleseed”, una collaborazione che continua ancora oggi dopo più di mezzo secolo. Nel primo articolo che Pete mandò a “Sing Out!” c’era scritto: “Sapete qual è il mio scopo come musicista? Non solo fare ascoltare una canzone, ma anche e soprattutto fare in modo che chi l’ ascolta impari poi a cantarla, e che a sua volta la insegni a qualcun altro…”. E Seeger ancora oggi è lì ogni mese ad insegnare una canzone diversa. In questo quinto e ultimo volume gli appassionati di folk americano e tutti coloro che si vogliono avvicinare a quest’affascinante cultura musicale, troveranno come sempre grandi classici accanto a piccole chicche. Il disco è orientato soprattutto, ma non solo, sul repertorio in uso tra i cowboys di inizio Novecento e tra i brani figurano: “Red River valley”, “St. James Infirmary”, “Trail to Mexico”, “Old Joe Clark”, “Ida Red”, “Cumberland Gap”, “Sweet Betsy from Pike” e “Whiskey, Rye whiskey”. Ma la produzione di Seeger per la Folkways non si ferma certo qui. Gettando un ulteriore sguardo all’immensa discografia di Seeger non si può non essere d’accordo con la rivista “Downbeat” che ha definito l’artista “IL DIAPASON DELL’AMERICA”. E davvero Seeger è stato capace di cantare contro l’America dei potenti ma anche di insegnare agli americani ad essere orgogliosi delle proprie radici.
Con la sua musica, il suo straordinario talento ed il suo impegno civile Pete Seeger, è stato, forse più di ogni altro, protagonista di un’autentica rivoluzione non solo musicale ma anche sociale e politica. Il suo ruolo non si è limitato a quello di musicista, ma, Seeger ha incarnato per anni il volto della contro-cultura in America, diventando, di volta in volta, scomodo ma sincero cantautore, attivista politico, convinto pacifista e fervente ambientalista. Il suo spirito eclettico e progressista pervade il mondo dell’impegno civile statunitense da più di sessant’anni. Un uomo che i giornali di tutto il mondo hanno consacrato come una delle personalità più importanti della musica folk mondiale del secolo scorso. Un artista pieno di passione che è stato uno degli iniziatori e sicuramente il più infaticabile sostenitore della riscoperta della tradizione popolare, non solo americana. Sono stati tanti infatti coloro che, anche nel nostro paese, sono partiti proprio dall’esempio di Seeger per studiare e diffondere la musica popolare. Ma forse tutto ciò Peter detto “Pete” Seeger ce l’aveva scritto nel proprio destino il giorno che nacque a New York nel lontano 1919, figlio di un musicologo universitario e di una pianista. Il sacro fuoco del folk lo colpì prestissimo e già giovanissimo dopo aver abbandonato gli studi universitari ad Harvard intraprese la difficile strada del folk-singer, sotto l’influenza dei pionieri della riscoperta della musica popolare americana, e del blues in particolare: John ed Alan Lomax. Già da allora, dagli anni Trenta, Pete Seeger si fece notare, spesso, non solo per i brani tradizionali che proponeva ma anche per le proprie composizioni che parlavano di lavoro, diritti civili, pace e speranza in un mondo migliore. E proprio al lavoro e alle sue canzoni è dedicato l’ultimo album di Seeger importato dalla Egea. Si tratta di “American Industrial Ballads”, una raccolta in cui l’artista newyorkese snocciola 24 brani tratti dai canti di lotta della working class statunitense. Registrati parecchi anni fa i brani hanno mantenuto intatta nel tempo la loro straordinaria e drammatica bellezza. Sono canzoni che arrivano dalle miniere di carbone e dalle fabbriche tessili. Canzoni la cui forza espressiva e rivendicativa è capace ancora di scuotere le coscienze degli uomini più sensibili. Un occasione imperdibile per apprezzare ancora una volta una storia culturale ed emotiva che non è solo americana, ma di tutto il mondo.