Richard Thompson

Che ci fosse qualcosa di celtico nella mia anima musicale, molto tempo prima della mia avventura con il progetto Turututela, si poteva sospettare anche ascoltando il primo cd dei Chicken Mambo, anno 1992, che si chiude con una specie di “giga” (Susan song). Questo pezzo l’avevo imparato da una violinista cajun in Louisiana l’anno precedente. Lei, che si chiamava, appunto, Susan, mi aveva assicurato che quella melodia, che a me sembrava “maledettamente” celtica, veniva da molto lontano: forse era arrivata lì tanto tempo prima dal Canada da dove gli Acadiani, gli odierni Cajuns dovettero fuggire.
Più tardi ho scoperto quanto sottile fosse la linea anche musicale che divide il Sud degli States dal Quebec, dall’intero Canada sino ad arrivare a Cape Breton. Susan, la violinista, mi aveva tra l’altro raccontato la bellissima storia di Evangeline.

Era il 1760 quando gli inglesi sbarcano a Gran – Prè nell’Acadia Canadese, incendiano tutto, distruggono il villaggio e cacciano via i francesi dal paese. Evangeline e Gabrièl, il figlio fabbro, si amano da tanto tempo e decidono di sposarsi prima che il vento della guerra spazzi via tutto… anche il loro amore. E poi, il fuoco, gli spari, le grida, la gente che fugge, la confusione, il sangue, la paura e… Non c’e tempo neanche per un addio, per un ultimo straziante bacio, nemmeno il giorno delle proprie nozze. Evangeline e Gabrièl vengono divisi, Evangeline è lì, sola sulla spiaggia che odora di morte e il suo amore chissà dov’è…
E allora Evangeline parte per un lungo viaggio che la porterà attraverso tutto il continente americano a cercare, per anni e anni, dappertutto, il suo Gabrièl, ma del suo amore, disperato, nessuna traccia.
Scomparso, in prigione …ucciso? Il suo interminabile viaggio per le terre ed i fiumi della grande America dura una vita, fino al giorno in cui ormai vecchia, stanca e senza più speranze trova il suo Gabrièl morente, in un piccolo paesino della Louisiana, nel povero e cadente ospedale di Saint Martinville, lontano migliaia di miglia da dove lo aveva lasciato, ma dove non avrebbe mai pensato di ritrovarlo. ”Gabrièl, sono io, la tua Evangeline!!!”, ma dal suo amore non riesce ad avere che un ultimo sguardo prima che gli angeli lo portino lassù, nel Paradiso dei cajuns dove violini e organetti suonano tutto il giorno. Se vi capitasse mai, un giorno, come è capitato a me di andare a Saint Martinville, in Louisiana vedrete che al posto del vecchio ospedale adesso c’e un grande albero con vicino la statua di Evangeline che aspetta il suo amore.

C’è anche un piccolo prato dove dormono, spesso sconosciuti e trascurati Evangeline e Gabrièl. I turisti frastornati dal fragore festoso di New Orleans gli passano accanto e purtroppo, molti di loro, non sapranno mai nulla del grande amore di Evangeline.
Proprio quell’anno il 1992, credo fosse inverno, propongono ai Chicken Mambo di aprire in un piccolo teatro vicino a Como (il posto preciso non lo ricordo, ma non è importante) per Richard Thompson, che a ragione era ed è considerato uno dei più grandi musicisti (e chitarristi) che il folk rock ci abbia mai regalato. A quell’epoca i Chicken Mambo erano soprattutto una band che voleva riproporre “ la musica che si suona al Carnevale di New Orleans”, quindi aprire il concerto per una leggenda come Richard Thompson , che tra l’altro avrebbe suonato da solo, accompagnandosi esclusivamente con il suono della sua splendida chitarra, ci aveva messo parecchio in agitazione. A contribuire a non tenerci del tutto tranquilli, c’erano poi gli sguardi e i commenti di una serie di personaggi “appassionati” di folk e dintorni, che non riuscivano a comprendere come una band “casinista” come i Chicken Mambo potesse aprire per un grande del rock (seppure folk) come Richard Thompson.
Molti di questi li ritroverò di nuovo sulla mia strada, dopo qualche anno nel ruolo (piuttosto repellente) di giornalisti prezzolati al soldo di multinazionali del disco o di riviste musicali che hanno la stessa credibilità di Novella 2000. Comunque al nostro promoter di allora tutto questo non faceva né caldo né freddo, perché arriva nel backstage e mi dice: “Vieni Fabrizio che ti presento una delle più belle persone che tu abbia mai incontrato. Richard, che stava sistemando la sua chitarra, mi ha accolto con quel particolare calore che spesso i più grandi artisti hanno quando approcciano un mister nessuno come me. Mi sentivo a mio agio, tranquillo, eppure sapevo di avere
davanti una persona che la settimana prima aveva suonato e prodotto musica da disco di platino per la grandissima Bonnie Raitt. E allora comincio a parlargli del mio amore per la musica di New Orleans e della Louisiana, e lì, ho capito, ancora una volta, che la musica celtica e quella cajun dovevano, per forza, avere qualcosa in comune. Richard mi ha raccontato della sua amicizia con Michael Doucet dei Beausoleil e di come prima o dopo avrebbero sicuramente fatto un disco insieme (cosa che qualche anno dopo avverrà regolarmente) e di come la sua canzone “ Tear stained letter” riarrangiata da Jo-El Sonnier in chiave cajun fosse diventata un must nelle balere del Sud degli Stati Uniti.

A questo punto mi sento davvero a casa mia, e gli strappo un: “Hey Richard, potremmo suonare una canzone insieme?” “Ma perché una sola canzone, facciamone, almeno due”, mi risponde Richard e continua “Quale delle mie canzoni conoscete?” Io avrei voluto dirgli tutte, però il problema era la band (metà di loro non sapeva nemmeno chi fosse Richard Thompson). Comunque, con il capo chino, ho detto a Richard la verità, incrociando le dita e sperando di non avere ferito la sua sensibilità di artista. Richard mi ha sorriso e mi ha chiesto: ”Ma Hank Williams lo conoscete, vero?”, e alla mia risposta affermativa sul palco quella sera i Chicken Mambo con special guest Richard Thompson hanno suonato “Jambalaya” e “Honky Tonk Blues” con una passione realmente fuori dal comune. La band, forse, non lo sapeva, ma stavamo vivendo un momento davvero indimenticabile della nostra vita. Grazie Richard.
Una signora americana dopo un mio concerto in Texas mi ha detto che quando canto o suono la mia armonica, ci metto dei sentimenti che loro, gli americani, di solito tengono da parte per le occasioni speciali. Beh, con Richard Thompson quella sera siamo stati noi a provare le stesse emozioni.
L’aver suonato con Richard Thompson, tra l’altro, mi ha portato anche una piccola fortuna di tipo economico.
Qualche anno dopo mi trovavo su di un taxi, ad Austin, Texas. Il taxista, un giovane universitario, si stupiva di come noi italiani avendo una cultura musicale così alta: la musica classica, l’opera eccetera (ci ha anche cantato un drammatico accenno di “La donna è mobile”), fossimo così appassionati di musica tradizionale americana che lui considerava musicalmente così bassa. Beh, io gli ho dato la solita risposta, e cioè che innamorarsi di qualcosa o di qualcuno è assolutamente irrazionale e, quindi, non si può spiegare.
Comunque gli ho raccontato un po’ la storia della nostra band e anche l’episodio con Richard Thompson. Il taxista si è fermato di colpo proprio davanti ad “Allen Boots”, il miglior negozio di stivali di Austin, si è girato e mi ha chiesto con due occhi grandi come due palle da biliardo: “Davvero hai suonato con Richard Thompson, che per me è il più grande cantautore del mondo e la sua canzone “The great Valerio” è un autentico capolavoro?”. Mi sono ripreso anch’io un attimo dalla brusca frenata e dalla sorprendente rivelazione e gli ho risposto che sì, davvero avevo suonato due canzoni di quel cowboy di Hank Williams e che (grazie a Dio) ero arrivato. Non vedevo l’ora di comprarmi un paio di veri stivali di pitone, per poter staccare ancora meglio il tempo sulle tavole di legno dei palchi delle balere texane ( le mie vecchie Clarks non facevano abbastanza rumore).
Il taxista non ha voluto neanche un dollaro per la corsa: mi ha detto che uno che ha suonato con il suo idolo non pagherà mai per viaggiare sul suo taxi. Io, comunque, il suo biglietto da visita ce l’ho ancora. Qualche tempo fa Aly Bain, per me, il più grande violinista scozzese, che tra l’altro ha realizzato un bellissimo documentario sulla musica cajun edito qualche anno fa dalla Shanachie, mi ha detto che la musica celtica e quella cajun hanno la stessa anima… Poi è arrivata la terza birra e… il discorso ci ha portato chissà su quale nuvola.
Forse inglesi e scozzesi qualcosa da farsi perdonare da Evangeline dopotutto ce l’hanno.