GARTH HUDSON
Parola di genio
di Fabrizio Poggi
(courtesy of Folk Bulletin 2011)
E che Garth Hudson sia un genio è ormai un fatto conclamato. Fa parte di quel nugolo di musicisti che la rivista Rolling Stones ha eletto nell’olimpo di coloro che hanno lasciato un segno indelebile nella musica del Novecento. Nel 1970 Time magazine scriveva: “Garth Hudson è il più brillante organista che ci sia nel mondo del rock”. E in quegli anni di organisti bravi in giro ce n’erano parecchi.
Ho avuto il privilegio di frequentare spesso Garth Hudson in questi ultimi anni. Lui ha suonato in un paio di miei dischi facendomi commuovere fino alle lacrime. E’ uno dei miei maestri. Durante le nostre frequentazioni, sia personali sia epistolari, Garth ed io abbiamo chiacchierato a lungo e quest’uomo dolce e riservato mi ha raccontato tante belle storie.
Eric Garth Hudson, questo il suo nome completo è nato il 2 agosto del 1937 a Windsor, Ontario, in Canada. Con le sue tastiere, la sua fisarmonica ed il suo organo è stato per anni uno dei principali architetti sonori di quel gruppo straordinario che risponde al nome di The Band. Garth durante la sua lunghissima carriera ha suonato davvero con tantissimi grandi musicisti.
Questi gli artisti più famosi con cui ha collaborato in ordine rigorosamente alfabetico: Eric Andersen, David Bromberg, Paul Butterfield, Bobby Charles, Eric Clapton, Leonard Cohen, Crosby Stills Nash & Young, Dixie Hummingbirds, Donovan, Bob Dylan, Keith Emerson, Marianne Faithfull, Indigo Girls, John Hammond, Emmylou Harris, John Hiatt, Nora Jones, Daniel Lanois, Colin Linden, David Lindley, Los Lobos, Lyle Lovett, Joni Mitchell, Van Morrison, Charlie Musselwhite, North Mississisippi All Stars, Jaco Pastorius, Pinetop Perkins e … la lista è lunghissima.
Durante le pause delle session di registrazione Garth mi ha confidato di dovere molto del suo amore per la musica ai suoi genitori. Sua madre suonava piano e fisarmonica e cantava mentre suo padre suonava sassofono, clarinetto, flauto e piano. Furono loro a fargli avere un’educazione musicale “seria”. A London, Ontario dove è cresciuto ha studiato piano, teoria musicale, armonia e composizione. Il suo primo brano lo scrisse a undici anni. Non ne aveva ancora dodici quando nel 1949 cominciò a suonare in un’orchestra da ballo. Un giorno Garth mi disse che quand’era ragazzo imparò diverse cose suonando per lo zio che era proprietario di un’agenzia di pompe funebri! Fu nel 1958 (l’anno in cui sono nato io) che Hudson si unì al suo primo gruppo rock. Si chiamavano The Capers. Nel dicembre del 1961, entrando negli Hawks la band che accompagnava il rocker Ronnie Hawkins, il ventiquattrenne tastierista diede una svolta non solo alla sua vita ma a quella dell’intera musica rock. Fu lì che incontrò i suoi celebri compagni d’avventura: il ventunenne Levon Helm alla batteria, e i diciottenni Robbie Robertson, Rick Danko e Richard Manuel rispettivamente alla chitarra, al basso e al piano. La storia del suo ingresso nella band è nota, ma è così bella che forse vale la pena di raccontarla un’altra volta. Per paura che i suoi genitori ci rimanessero male pensando che Garth stesse buttando via anni di brillanti studi musicali per suonare in una rock ‘n’ roll band, il mitico tastierista propose alla band un geniale espediente. Avrebbe detto ai suoi genitori di essere entrato nella band come “consulente musicale”. Per rendere la cosa ancora più credibile i suoi colleghi di gruppo dovevano pagare a Garth dieci dollari a settimana per le sue “lezioni” di teoria musicale. Il resto del gruppo accettò di buon grado. Avere un musicista “vero” nella band avrebbe fatto comodo a tutti e sicuramente tutti avrebbero imparato qualcosa di utile. D’altro canto i genitori di Garth sarebbero stati contenti, perché si sarebbero resi conto che il loro figliolo stava mettendo a frutto i suoi studi musicali. Più tardi sempre nel film di Scorsese “The last Waltz” ricordando quei giorni Garth dirà: “All’epoca c’era la credenza che il jazz e altre musiche simili fossero musiche malvagie senza pensare che in realtà i più grandi predicatori di strada di New York in quegli anni erano i musicisti jazz. Musicisti in grado di guarire la gente attraverso la musica. Sapevano come utilizzare i suoni per far star bene la gente”.
Maestro dell’organo Lowrey (che nei primi anni Sessanta era molto meno usato del più celebre Hammond), lo stile assolutamente inconfondibile di Hudson, ha influenzato lo sviluppo dei moderni sintetizzatori. Un giorno chiesi a Garth perchè preferì il Lowrey all’Hammond che all’epoca era l’organo prediletto dai tastieristi rock. Garth mi rispose che il suono dell’Hammond gli piaceva ma non lo entusiasmava. Preferiva quello del Lowrey. Quell’organo sembrava offrirgli possibilità timbriche ancora inesplorate.
Garth Hudson è un uomo di poche parole.
Almeno all’apparenza perchè poi se riesci a diventargli amico (ma si può diventare amici di una leggenda?) ti racconta storie che ha già raccontato un’infinità di volte per il solo piacere di vederti sorridere contento. Quando gli chiesi come erano diventati la band di Bob Dylan lui mi disse che a presentarli ad Albert Grossman il manager di Dylan fu l’assistente di quest’ultimo Mary Martin una ragazza canadese originaria dell’Ontario. Mary sapeva che Dylan stava cercando una band e fece in modo di metterli in contatto. Era il 1965, loro si chiamavano ancora The Hawks ed erano reduci da una seduta di registrazione per un disco di John Hammond Jr. La prima cosa che fecero con Dylan fu registrare il singolo “Can You Please Crawl Out Your Window?”. Dylan fu molto contento del risultato così nel gennaio 1966 gli Hawks che qualcuno cominciava già a chiamare semplicemente The Band registrarono parecchio materiale, parte del quale finirà in quel capolavoro che si chiama “Blonde on Blonde”. Subito dopo intrapresero con Dylan il controverso “tour elettrico” dello stesso anno girando, States, Europa e Australia (un bellissimo album tratto da quella esperienza dal titolo “The Royal Albert Hall Concert”, verrà finalmente dato alle stampe nel 1998 n.d.r.). In seguito al “celebre” incidente motociclistico avvenuto nel luglio del 1966 Garth e gli altri membri di The Band si trasferirono nell’ormai leggendaria Big Pink, una casa dipinta di rosa situata a West Saugerties, nello stato di New York poco fuori Woodstock. In realtà a Big Pink risiedevano stabilmente solo Hudson, Danko e Manuel ma il gruppo si riuniva nella cantina di quella casa per provare e registrare canzoni con Dylan: brani straordinari che parecchi anni dopo verranno alla luce con il nome di “The Basement Tapes”.
Fu lì che il gruppo decise di diventare The Band. Garth me lo ha confermato anche personalmente più di una volta. E fu sempre lì che venne concepito il loro album di debutto. Era il 1968 quando uscì “Music from Big Pink” un disco destinato per usare le parole di Eric Clapton “a cambiare non solo la sua vita ma l’intero corso della musica americana”. Garth mi ha anche confidato che il passaggio di nome da The Hawks a The Band non fu proprio immediato. Vi fu un brave periodo che su suggerimento di Levon Helm avevano deciso di chiamarsi The Crackers. Poi visto che nel giro di Bob Dylan tutti li chiamavano The Band decisero di seguire l’onda e prendersi quel nome.
Garth è diventato celebre anche non solo come tastierista ma anche come abilissimo suonatore di fisarmonica. I suoi fraseggi con quello strumento non sono mai scontati e banali, ma sempre estremamente originali e seducenti. Hudson mi ha detto di aver ascoltato molto non solo i fisarmonicisti cajun della Louisiana ma anche e soprattutto i grandi maestri europei. E tutto ciò viene fuori quando Garth suona la sua fisarmonica. E anche qui il suo “signature sound” è assolutamente inconfondibile.
Sempre all’avanguardia Garth che ama stare sul palco circondato da mille tastiere, fu uno dei primi a usare il Clavinet e i sintetizzatori in generale. E sempre in maniera assolutamente innovativa. Basti ricordare ad esempio quando in “Up On Cripple Creek” Hudson suona il Clavinet attraverso un pedale wah – wah. L’effetto è stupefacente ed è passato alla storia.
Chi tra i fan di The Band non ricorda l’inconfondibile suono di uno scacciapensieri o il gracidio delle rane che popolano le paludi del sud degli States che Garth evoca attraverso le sue tastiere nel brano in questione? Quel sound influenzerà centinaia di tastieristi funky in tutto il globo, Stevie Wonder compreso, per sua stessa ammissione.
A Garth non piace parlare dei motivi che hanno portato allo scioglimento di The Band. E va quindi rispettato. Quello che lui da anni dice è che non ci sono segreti dietro quello che è accaduto e che tutto quello che c’è da sapere è tutto dentro a “The Last Waltz” l’immortale disco e film che celebrano “la fine” una band paradossalmente destinata a durare “per sempre” anche grazie a quel concerto con tantissimi ospiti che la band diede a San Francisco il Giorno del Ringraziamento del 1976.
L’ intervista
Partirei parlando del tuo album Garth Hudson Presents a Canadian Celebration of The Band. inciso con nomi importanti come Neil Young, Bruce Cockburn, Blue Rodeo, Cowboy Junkies e tanti altri. Come è nato quindi il progetto?
Per tanti anni mi è stato chiesto più volte quali fossero le mie canzoni preferite tra quelle che ho registrato con The Band. Questo disco è la mia risposta. Un giorno mia moglie Maud mi disse che registrare alcuni di quei brani nel modo in cui l’abbiamo fatto, non solo avrebbe prodotto un bel disco ma anche onorato il Canada, la mia terra. Ci sono voluti in totale due mesi per realizzare il tutto. Considera che il disco è stato interamente registrato in Canada. Per inciderlo ho macinato diversi chilometri in macchina. Ho fatto la spola tra Toronto, dove c’erano gli studi, e le Catskill Mountains vicino a Woodstock dove vivo.
Garth tu sei un’autentica leggenda vivente e sei stato testimone di tanti cambiamenti avvenuti nel corso degli ultimi cinquant’anni. Qual è la tua percezione del mondo odierno musicale e non in un periodo come questo in cui tutto sembra muoversi così velocemente?
Hai ragione oggi il mondo si muove davvero in fretta. Il fatto è che io mi muovo ancora più veloce di lui. E lui non riesce mai a prendermi!
In che cosa sono diversi i giovani musicisti di oggi da quelli della tua della tua generazione?
Potrei andare avanti per ore a parlare di quali siano le differenze tra la loro generazione e la nostra, ma cercherò di essere breve… Oggi i musicisti attraverso i computer hanno più possibilità e risorse. Possono persino scrivere musica con il computer. Per non parlare poi di internet e delle tecnologie audio e video digitali. E’un mondo davvero differente rispetto a quando ero giovane io in cui le uniche fonti di riferimento erano la radio e il giradischi. Ci sono alcune cose che comunque io ritengo ancora attuali come i libri e gli insegnanti di musica. E poi, non mi stancherò mai di ripeterlo: imparare a leggere e a scrivere musica sarà sempre molto importante.
Perchè secondo te – oggi forse più che mai – The Band è ancora un riferimento autorevole per chiunque ami la musica?
Credo di saperlo, ma perché non lo chiedi direttamente a chi la pensa così e poi mi riferisci ciò che hanno detto? (Garth ride timidamente n.d.r.)
Riferendoci a The Band, quando hai capito che qualcosa di speciale stava avvenendo?
Fu nell’estate del 1965. All’epoca mentre suonavamo al Tony Mart’s di Ocean City, New Jersey. Qualcuno ci disse che Bob Dylan era stato “incoraggiato” a venire a sentire un concerto degli Hawks (all’epoca ci chiamavamo così) e a considerare seriamente la possibilità di lavorare insieme. Dylan venne poi alla Friar’s Tavern a Toronto, ci ascoltò attentamente e subito dopo decise di prenderci con lui. Credo che Bob avesse apprezzato il nostro rispetto per i testi delle canzoni e che tutti i nostri abbellimenti e tutti gli assoli fossero coerenti con le parole dei brani che suonavamo. Credo che Dylan capì che parlavamo la sua stessa lingua, il suo stesso idioma.
Quando riferendoci sempre a The Band hai capito che qualcosa stava andando per il verso sbagliato?
Per me niente è andato storto con The Band. E’ stata una fase delle nostre vite e credo che durante la sua esistenza il gruppo abbia ampiamente raggiunto l’obbiettivo della sua missione, ovvero suonare buona musica.
Gli anni successivi allo scioglimento di The Band furono tempi bui oppure eravate già pronti per nuovi progetti musicali?
Ognuno di noi portava avanti progetti personali anche quando la band era insieme. Era una cosa piuttosto naturale cercare di realizzare i nostri sogni individuali.
C’è ancora qualcosa che vorresti realizzare? Un sogno nel cassetto?
Fondare il GARTH HUDSON Institute. Una risorsa in cui metterei i miei metodi di apprendimento a disposizione di studenti e insegnanti di università e scuole in generale.
John Simon fu parte integrale di The Band. Spesso si dimentica la sua importanza nello sviluppo del sound del gruppo. Tu cosa mi dici in proposito?
Che sono d’accordo. Fu John Simon a produrre “Music From Big Pink”. Fu molto importante averlo in studio dove ci aiutò a rendere il nostro suono più dinamico suggerendoci nuovi accordi e concezioni musicali. Senza dimenticare la sua abilità come tecnico del suono, la sua razionalità e la sua magia. E’un uomo di grande talento e un buon amico.
Cosa c’era di speciale all’epoca nell’area intorno a Woodstock che ha fatto si che tanti artisti si trasferissero da quelle parti? Anche oggi secondo te c’è una magia particolare in quei luoghi?
Sono sicuro che ci sarà sempre una spiritualità speciale in questi luoghi.
Tutto cominciò all’inizio del 1700 quando alcuni coloni con una sensibilità artistica decisero di trasferirsi dalla città di Kingston all’area intorno alle Catskill Mountains. Lì costruirono le loro fattorie coltivando la parte più elevata delle colline. Lo fecero, credo, per trarre inspirazione dal contatto con la natura. E in effetti è davvero una zona bellissima con molti animali selvaggi, sterminate foreste di pini e un clima davvero stimolante.
Nella Big Pink come si sa ci siamo molto divertiti e ancora oggi è davvero confortevole vivere in un area popolata da così tanti artisti. Dopotutto qui erano di casa Rip Van Winkle (il personaggio creato da Washington Irving che scomparve per venti anni dopo essersi addormentato sotto un albero n.d.r.); il cavaliere senza testa che terrorizzava la vicina TarryTown (protagonista del racconto “La leggenda di Sleepy Hollow” scritto da Washington Irving nel 1820 n.d.r.); e poi tutta la scuola pittorica dell’Hudson river. Qui Johnny Appleseed (celebre ambientalista statunitense n.d.r.) piantò molti dei suoi alberi di mele. Le persone che si incontrano da queste parti sono piuttosto gentili quando ti capita di incontrarli dal fruttivendolo o dal macellaio. Tutti coloro che qui hanno vissuto e prodotto arte hanno contribuito al sentimento di Spiritualità che pervade quest’area.
Si può dire che lo stile della band si sviluppo a Woodstock durante la registrazione dei leggendari “Basement Tapes”?
Solo in parte perché la musica che suonavamo a Woodstock era la stessa che eseguivamo prima del “periodo Big Pink”. Le note e gli arrangiamenti erano gli stessi. C’era solo un po’ meno Rhythm and Blues. Il blues lo suonavamo ancora, ma solo occasionalmente, di solito all’inizio di una sessione di prove. Quello fu anche il periodo in cui imparammo anche a stare sul palco.
In quegli anni la musica suonata da The Band era totalmente diversa da quella di chiunque altro, anche se negli anni Sessanta di musica interessante se ne è prodotta parecchia. A quel tempo ascoltavi la musica di altri gruppi? Eri al corrente di ciò che suonavano gli altri musicisti?
Ascoltavo di tutto: Dr. John, Grateful Dead, Fairport Convention, Morgana King (una cantante di jazz n.d.r.), Koto Music (musica giapponese n.d.r), Ravi Shankar, gli Osborne Brothers, Eddie Palmieri (celebre pianista latinoamericano n.d.r.), gli Shape Note Singers (gruppi di musica spirituale n.d.r.), Joni Mitchell, Grace Slick, i Bengali Bauls con Purna Das e i Bauls of Bengal (musicisti indiani che per un po’ vissero e registrarono a Woodstock n.d.r.)
Parlando di interviste non posso nasconderti che ciò che hai detto durante “The Last Waltz” a proposito dei musicisti di New York che suonavano jazz per strada mi ha molto colpito. Soprattutto quel passaggio in cui parli del potere che la musica ha quando riesce ad arrivare nel profondo dell’anima della gente. Diresti le stesse cose anche oggi?
Direi di si, anche se oggi forse non lo direi del jazz. La musica che si suona oggi nei club dove si rifugiano i nottambuli serve ancora a dare sollievo allo spirito. E poi è indispensabile per tutti coloro che hanno bisogno di analizzarla, identificarla e collocarla nelle varie categorie musicali.
(e qui Garth ride sornione)
Quale pensi che sia l’eredità musicale di The Band?
Gran parte dei suoni, del linguaggio e dello stile da noi iniziati sono ancora largamente usati nella musica di oggi. E lo sarà anche nel futuro, ne sono sicuro.
C’è qualcosa che vorresti aggiungere?
Si, mi piacerebbe che ognuno di voi comprasse una copia del mio album “Garth Hudson presents a Canadian Celebration of The Band”.
Grazie a Maud Hudson per la preziosa collaborazione.