MAVIS STAPLES

MAVIS STAPLES Conversazione con una straordinaria icona del gospel

Quando un disco è bello ci sono poche cose da dire. Quando è bellissimo si può solo farlo girare continuamente nel proprio lettore cd e scoprire ad ogni ascolto nuove emozioni, nuove sensazioni. Questo è quello che succede con You are not alone di Mavis Staples. Un disco prodotto magistralmente da Jeff Tweedy dei Wilco e destinato a diventare qualcosa di assolutamente unico nella storia della musica afroamericana.
Questo che segue è il risultato di una bellissima chiacchierata con la grande cantante gospel. Per l’occasione Mavis era accompagnata dalla sorella Yvonne, anche lei componente degli Staples Singers e che ancora oggi canta con lei.

Ci racconti come è nato You are not alone e come è avvenuto il tuo incontro con Jeff Tweedy?
Parlare di questo album mi entusiasma molto. Ne vado molto fiera.
Jeff Tweedy ha fatto un lavoro magnifico. Molte persone mi chiedevano che cosa avrei fatto dopo il cd con Ry Cooder. Non ne avevo la più pallida idea. Poi un bel giorno è arrivato Jeff che mi ha chiamato e mi ha detto di avere dei brani da propormi che avrei potuto inserire in un prossimo cd. Gli chiesi quindi di farmeli ascoltare. Dopo che Jeff mi fece sentire le prime canzoni gli chiesi dove le avesse recuperate. Quelle erano canzoni molto più vecchie di me. Si trattava di Wonderful Savior e Creep Along Moses incise dai Golden Gate Jubilee Singers nei primi anni Trenta. Mio padre Pops era solito suonarci quelle canzoni quando eravamo ragazzi e ci piacevano molto. Non avrei mai pensato di cantarle ma ripeto ci piacevano tantissimo. E così abbiamo cominciato a lavorarci sopra. Wonderful Savior abbiamo voluto cantarla a cappella come nella versione originale.

Ascoltando il disco si ha la sensazione che sia stato registrato in maniera quasi intima. Ci racconti come l’avete inciso?
Le sessioni di registrazione sono state straordinarie. C’era nell’aria un clima di festa bellissimo. Sembrava davvero una riunione di famiglia. Tutti i componenti dei Wilco hanno portato con loro i loro figli, bambini e bambine. Una di loro, dolcissima, sembrava il ritratto di Shirley Temple e non smetteva mai di parlare. Sembrava di essere a casa e non in una sala di registrazione. C’era molto calore. Nello studio c’erano una cucina, un bel soggiorno con la televisione e un divano (così mia sorella Yvonne non si è persa neanche una puntata delle sue telenovelas preferite – sia Mavis che Yvonne ridono) e proprio accanto c’era il luogo in cui registravamo.

C’è un episodio in particolare che vorresti raccontarmi sulle sessioni di registrazione?
Nel momento in cui dovevamo registrare Wonderful Savior Jeff ci disse che sarebbe stato meglio inciderla fuori, davanti a casa. Secondo lui il brano, registrato all’aperto, avrebbe avuto un suono migliore. Io gli dissi subito che mai e poi mai sarei uscita a cantare con quel freddo. C’erano parecchi gradi sotto zero. Erano anni che a Chicago non faceva così freddo. Allora lui chiese a qualcuno di portarmi una cuffia, una sciarpa e il cappotto e mi costrinse quasi con la forza ad uscire. Gli dissi, scherzando ovviamente ma non troppo, che solo per quella volta, e quella volta soltanto, gli avrei permesso di essere il mio capo e di trattarmi così. Uscimmo fuori e ci mettemmo tutti intorno a un solo microfono. Faceva così freddo che ogni volta che aprivamo bocca usciva il vapore. Quando siamo rientrati in casa abbiamo ascoltato la canzone. Era riuscita così bene. Chiesi a Jeff se avesse voluto uscire per rifarne un’altra versione. Lui mi rispose che secondo lui era perfetta così. Tirai un sospiro di sollievo.

Quindi essendoci una cucina a disposizione chi preparava da mangiare tra una session e l’altra? Tu?
No, assolutamente (ride) anche se mi piace cucinare quando ne ho il tempo. Jeff era molto organizzato. C’era una ditta di catering che ogni giorno ci procurava i pasti così non dovevamo allontanarci dallo studio. Dicevamo loro il giorno prima cosa volevamo e loro ci preparavano ciò che avevamo chiesto. Jeff mi chiese: Ma anche con Ry Cooder avevi lo stesso trattamento? Io gli risposi: No,con Ry Cooder si lavorava come si faceva una volta. C’era un fattorino in studio. Noi gli dicevamo cosa volevamo e lui andava a prendercela. Ma nulla di organizzato.

Beh, da quello che racconti sembra che questa esperienza con Jeff Tweedy e i Wilco ti abbia lasciato molto?
Hai ragione. Registrare questo disco è stata un’esperienza bellissima. E’ un disco in cui è racchiusa in qualche modo tutta la mia esistenza musicale. E non solo. E c’è un episodio che ben rappresenta tutto questo. Una sera Jeff arriva con le cuffiette nelle orecchie e mi chiede: Sai cosa sto ascoltando Mavis? Io rispondo: No, non ne ho idea. E lui mi dice: Nel mio iPod ho tutti i dischi degli Staples Singers degli anni Cinquanta e Sessanta. Ed è ciò che sto ascoltando ora. Io gli risposi: Quella per me è la miglior musica che io abbia mai prodotto nella mia vita. Forse Jeff non te ne sei reso conto ma prima mi hai fatto rivivere la mia infanzia facendomi ascoltare i Golden Gate Jubilee, e ora mi riporti alla mia adolescenza. Ricordo ancora perfettamente quando seduti tutti intorno a mio padre Pops cantavamo Don’t Knock (e qui Mavis canta nuovamente).
Quella sera dissi a Jeff che mi sarebbe piaciuto cantare ancora una volta quelle canzoni e così decidemmo di inserire Don’t knock, Creep along Moses e Too close to Heaven. E ti dirò sinceramente: tutto ciò mi ha riportato indietro nel tempo. Queste session di registrazione sono state tra le migliori che abbia mai fatto. Tutte quelle vecchie canzoni e i nuovi brani scritti da Jeff mi hanno fatto davvero stare bene perché in qualche modo, come ti ho già detto, è stato come ripercorrere tutta la mia vita.

Forse questa è una domanda che dovrei fare a Jeff Tweedy. Come è nata You are not alone la commovente canzone che dà il titolo all’album?
Un giorno Jeff mi disse che da qualche tempo aveva una canzone che gli girava nella testa. Non c’era ancora nulla di scritto. Né le parole né la musica. Solo il titolo: You are not alone. Mi raccontò di ciò di cui voleva parlare nel brano e io lo incoraggiai ad andare avanti nella stesura della canzone. Avevamo già finito di registrare quasi tutto l’album e lui venne fuori con questa bellissima idea. Il giorno successivo a quello in cui me ne parlò mi portò un cd su cui aveva inciso una bozza della canzone. Mi disse che non era ancora la versione definitiva ma che poteva darmi un’idea di ciò sarebbe stata la canzone una volta terminata. Dopo averla ascoltata dissi a Tweedy che aveva scritto un autentico capolavoro. Mi era venuta la pelle d’oca. Quella era la più bella canzone che avessi mai cantato (e qui Mavis canta la prima strofa della canzone You are not alone). Jeff era molto felice e aggiunse: Sai Mavis la gente pensa di essere sola, ma c’è molta altra gente che soffre la solitudine allo stesso modo. Ma quello a cui dobbiamo pensare è che non siamo soli. Non lo siamo mai.

You are not alone è una canzone che sembra infondere coraggio. Ho letto da qualche parte che quella canzone ha un significato particolare per te. Puoi spiegarci perché?
Le parole di You are not alone mi toccano da vicino. Quando mio padre Pops morì non volevo fare più nulla. Mi sentivo sola. Persa. Quindi posso comprendere bene le il significato di quella canzone. E’ un’esperienza da cui purtroppo sono passata. Le persone oggigiorno sono spesso depresse. Viviamo tempi difficili. La gente sta perdendo la propria casa, il proprio lavoro. E non sanno a chi chiedere aiuto. Canzoni come questa ti danno conforto: non sei solo, io sono con te. E anch’io ogni tanto mi sento sola. Quando dopo la scomparsa di Pops me ne stavo chiusa in casa e non volevo reagire, fu mia sorella Yvonne a farmi riprendere la voglia di vivere e di tornare di nuovamente sul palco. Yvonne mi disse le parole di cui avevo bisogno. Mi disse che se nostro padre mi avesse potuto parlare dal Paradiso mi avrebbe sicuramente detto che quello che dovevo assolutamente fare era continuare a cantare. Questo è quello che Pops avrebbe voluto. Capii che Yvonne aveva ragione e da quel giorno sono diventata inarrestabile.

So però che non è stato facile ricominciare. Hai dovuto lottare per ritornare ad incidere?
E’ stata dura all’inizio. Telefonai a diverse etichette discografiche. Tutti sembravano avermi dimenticato. Per sempre. Così decisi di farmi prestare dei soldi da una banca e di produrmi un disco da sola. A quell’epoca avevo un amico chitarrista, Jim Tullio, che aveva uno studio nella sua cantina. Chiamai quell’album Have a little faith perché pensavo che se hai la fede in qualcosa, se ci credi veramente, nessuno ti può fermare. Decisi di cominciare a venderlo direttamente anche per far sapere alla gente che ero tornata a cantare. Nonostante questo a nessuno sembrava interessare il mio lavoro. Proprio quando stavo pensando di arrendermi, Bruce Iglauer della Alligator Records mi chiamò dicendomi di essere interessato a pubblicare il disco con la sua etichetta. E da li poi tutto è andato per il meglio.

Secondo me Have a little faith era un ottimo disco, sei d’accordo?
Si anche secondo me era un bel disco. E poi su quell’album incisi nuovamente Will the circle be unbroken che è stata la prima canzone che nostro padre Pops ci insegnò da bambini. E’ una canzone che come Staples Singers abbiamo inciso sette o otto volte, ma non mi era mai capitato di registrarla come solista.

Qual è la canzone che preferisci di You are not alone?
Difficile rispondere. Forse Only the Lord Knows che è anche l’ultima canzone che Jeff ha scritto per me . Almeno per ora.

Foto di Donovan Allen